La prima: l’epidermide
La seconda: i vestiti
La terza: la casa dell’uomo
La quarta: l’ambiente e l’identità sociale
La quinta: l’ambiente globale
Macrohabitat
è una rete che si sviluppa tra architetti, artisti, designer,
giardinieri e artigiani, persone che condividono idee e
prospettive futuribili di sharing, co-working, sviluppi sostenibili e progettazione ecocompatibile open source.
Macrohabitat
nasce da precedenti esperienze di microhabitat (micro costruzioni in macro
luoghi), un riparo bio-degradabile, un'istallazione. Un'azione d'arte
collettiva nata in Puglia, tra la Murgia e la Valle d'Itria. Si sviluppa e si nutre di idee ed esperienze dal
mondo,
entra in contatto col Genius Loci della luogo e costituisce Microhabitat.
Nella
proposta di operare tra Arte, Natura e Architettura,
Macrohabitat vuole innescare una discussione sull’abitare.
Macrohabitat vuole innescare una discussione sull’abitare.
Macrohabitat
è un fermento culturale che propone una visione alternativa della partecipazione pubblica al bello naturale e funzionale.
Siamo
parte di un processo di ri-evoluzione.
Seminiamo idee, progetti e storie dell’abitare la terra.
Coltiviamo il linguaggio dell'arte, dell'architettura, della natura, del paesaggio, dell’habitat.
Raccogliamo e condividiamo Architetture a Zero Cubatura (AZC) e conoscenza dei materiali del costruire d'un tempo con le tecnologie a impatto zero.
Microhabitat.
Seminiamo idee, progetti e storie dell’abitare la terra.
Coltiviamo il linguaggio dell'arte, dell'architettura, della natura, del paesaggio, dell’habitat.
Raccogliamo e condividiamo Architetture a Zero Cubatura (AZC) e conoscenza dei materiali del costruire d'un tempo con le tecnologie a impatto zero.
Microhabitat.
Nella
sua esplorazione, Macrohabitat intende coinvolgere istituzioni, realtà associative e ogni singolo cittadino che ha il
desiderio di vivere in armonia con la realtà, dalla casa alla città.
Faber est suaequisquefortunae, "Ciascuno è artefice della propria sorte
Faber est suaequisquefortunae, "Ciascuno è artefice della propria sorte
I pensieri:
il
PAESAGGIO
"In
un primo momento gli artisti si sono interessati alla Statua della Libertà,
alla sua materia; in seguito l’attenzione si è spostata alla struttura di
sostegno e infine è stata messa a fuoco l’isola che ospita il monumento";
ISOLATO,
incorniciato dal riquadro, come un dipinto nel dipinto, il paese acquisisce lo
statuto di paesaggio. Soltanto per il tramite di questa “veduta” attraverso la finestra diventa possibile
chiarire il paese dalla scena sacra posta abitualmente in primo piano e
trasformarlo in paesaggio autonomo. La finestra, elemento della progettazione
architettonica, permette di spiegare lo scarto etimologico tra paese e
paesaggio. La natura è indeterminata, e soltanto l’arte può determinarla;
perché ciò che è paese diventi paesaggio occorre un’artificiazione, diretta o
indiretta. Il paese è il grado zero del paesaggio.
INTENDERE
il paesaggio come una conversazione già iniziata, un testo, un manoscritto sul
quale sono affastellate più scritture, un Palinsesto: da pàlin nuovamente e
psestos grattato, cioè due volte grattato. Gli antichi solevano sfregare la
cartapecora con pomice, al fine di renderla eguale e liscia per potervi
scrivere sopra. I copisti Medioevali hanno nuovamente raschiato e indi
ricoperto di nuova scrittura quei fogli, sotto il quale l’arte de’ moderni è
giunta a fare ricomparire in parte i caratteri primitivi;
Non vi è
territorio senza l’immaginario del territorio, il territorio è semantizzato: se
ne può parlare e diventare “soggetto”.
Passare
da una progettazione zenitale, costruita con uno sguardo altero, divino
(l'ambiziosa palma di Dubai) ad una progettazione prospettica più ravvicinata;
INTERESSARSI
a come le persone vivono gli spazi e le regole che vi trovano;
CERCARE
nelle azioni comuni il racconto di spazi della quotidianità: raccontare l’uomo
comune;
in ATTESA
Considerare
il paesaggio come una sequenza di “spazi in attesa”, con modalità temporali di
sviluppo differenti e con possibilità di interventi più o meno duraturi;
Spazi
abbandonati dalla pianificazione, in attesa della determinazione di un nuovo
ruolo, vengono utilizzati spontaneamente o indicati semplicemente, sottolineati
dalle sperimentazioni dell’arte, dell’architettura e del planning come nuovi
spazi pubblici;
INTERVENIRE
nelle aree in sospensione, in attesa di definizione, marginalizzate, territori
senza ruolo, estromesse dal processo di comunicazione, in attesa di essere
re-integrate in quel processo della produzione, spazi tralasciati, omessi o
dimenticati, sospesi, ma che questa mancanza rappresenta un’opportunità, una
riserva da mettere in campo. Rivolgere uno sguardo differente allo scarto ed
interpretarlo come un dispositivo in trasformazione;
Operare
negli spazi interstiziali inutilizzati e inutilizzabili, scarti derivanti dalla
suddivisione dei terreni, troppo piccoli per farne qualcosa, eppure reali e
registrati come tali, veri terreni ma senza alcun valore né d’uso né di
scambio, non luoghi, non-merci, non-beni. Scarti antropici dello sviluppo
urbano, questi brandelli di spazi, non spazi in effetti, sono materia inerte,
trascurata, alla deriva del territorio vero e proprio, a loro volta abbandonati
a ricoprirsi di nient’altro che di inutile polvere: letteralmente “allevamenti
di polvere” a tutti gli effetti;
REALIZZARE qualcosa componendola
di due ordini di parti: l’una di lunga durata e l’altra facilmente
sostituibile;
Operazioni
di ri-collocamento reale;
Proporre
una serie di azioni costruite con sperimentazioni appartenenti ai differenti
campi progettuali che declinano il dialogo
tra progetto e scarto a disegnare un nuovo senso di stratificazione. Le azioni
procedono a raccontare la possibilità che il progetto si metta a totale
disposizione del palinsesto trovato e si faccia commento dell’esistente
attraverso l’immissione di una nuova logica;
Sviluppare
concetti nomadi;
Dare
profondità di significato a ciò che non ha forma per dovere di conoscenza e per
sostanziare il valore ecologico di questi spazi reali e mentali;
SCOMPARIRE
le AZC
vogliono SCOMPARIRE. Architetture silenziose. Condurre una riflessione
rispetto al peso economico e iconografico dell’opera, alla sua invasività.
Tracciare una nuova strada rispetto a quella già aperta che ricerca
spettacolarità ed estraneità al luogo, accompagnando le dinamiche già in atto,
accontentarsi di dialogare con i meccanismi trovati o di addizionarli per
ottenere un funzionamento più virtuoso, o semplicemente diverso del sistema. In
questo caso non essendoci l’opera non c’è nemmeno lo scarto, tutto è processo.
Questo passaggio suggerisce che trasformare possa anche significare rinunciare
a, attendere, capire e leggere il momento e forse decidere di non fare o ancora
di fare togliendo ciò che ruba la scena allo spazio che già in sé detiene un
proprio, preciso significato e senso.
NON
FINIRE
Le AZC
vogliono NON FINIRE. Nel caso in cui serva una nuova infrastruttura
architettonica o territoriale, questa
viene progettata ma anche lasciata incompiuta per dare margini di
partecipazione o cambiamento. L’apertura dell’opera cerca la definizione di un
dispositivo capace di accrescersi in base ai propri gradi di libertà; l’opera
architettonica come un prodotto non finito, in progress; creare un sistema in
attesa della personalizzazione di chi la abiterà, di chi la vivrà, di chi
l’utilizzerà; possibilità di concepire una macchina edilizia pubblica
incompleta;
È grazie
alla riscoperta del “tempo” che si guarda al progetto architettonico non più
con una semplice istantanea ma con una sequenza filmica;
COLLABORARE con
il tempo;
RINNOVARE
la data di scadenza del luogo;
Il tempo
si fa materia di progetto nonché strumento vero e proprio nella costruzione del
paesaggio;
Architettura
a tempo;
COMMENTARE
CONTAMINARE
le AZC
vogliono COMMENTARE CONTAMINARE. In presenza di luoghi totalmente asserviti
ad una realtà in deperimento, il progetto rifonda, non tracciando linee ma
immettendo germi di nuove realtà, di una nuova natura, spesso semplicemente
dando inizio ad una ri-significazione di ciò che è estremamente compromesso;
INCREMENTARE
le AZC
vogliono INCREMENTARE (lo scarto). Lo
spazio trovato viene implementato di altri segni, viene letto come palinsesto.
Sfruttare luoghi già compromessi, già costruiti per implementarli significa
evitare espansioni in altri spazi integri; spazio come nodo dove intensificare
le relazioni; campi neutri in attesa di significato;
le AZC
vogliono far scomparire l’ARCHITETTO dall’opera;
L’ARCHITETTURA
NON E’ SOLO FATTA DI VOLUMI;
storie dell'uomo e dell’abitare la
terra
“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro
quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una
casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O
un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano
abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e
quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo
là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi
qualche cosa da ciò che era prima in qualcos'altro che porti poi la nostra
impronta. La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero
giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non
esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una
vita.”
Ray Bradbury